Edilizia: confermata per il 2025 la riduzione contributiva

L’agevolazione è pari all’11,5% a favore delle imprese del settore (INPS, circolare 21 novembre 2025, n. 145).

L’INPS ha illustrato i requisiti necessari per accedere alla riduzione contributiva, pari all’11,5%, per le imprese del settore edile, confermata dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, con il Ministero dell’economia e delle finanze, mediante il D.M. 29 settembre 2025.

In particolare, l’agevolazione è riservata ai datori di lavoro classificati nel:

– settore industria: codici statistici contributivi da 1.13.01 a 1.13.05;
– settore artigianato: codici statistici contributivi da 4.13.01 a 4.13.05.

I requisiti

La riduzione si applica esclusivamente agli operai occupati a tempo pieno (40 ore settimanali). Non spetta ai lavoratori a tempo parziale e riguarda i contributi per le assicurazioni sociali, esclusa quella pensionistica.

Per accedere al beneficio, le imprese devono:

– essere in possesso del DURC;
– rispettare la normativa sulla retribuzione imponibile;
– non aver riportato condanne per violazioni della sicurezza sul lavoro negli ultimi cinque anni;
– rispettare i contratti collettivi nazionali e territoriali.

Le domande

Le domande devono essere inviate esclusivamente online, mediante il modulo “Rid-Edil“, disponibile nel Cassetto previdenziale del contribuente, nella sezione “Comunicazioni on-line” e verranno elaborate entro il giorno successivo.

Lo sgravio si riferisce al periodo che va da gennaio a dicembre 2025.

In caso di esito positivo, viene attribuito il codice di autorizzazione “7N” per il periodo novembre 2025 – febbraio 2026.

Il termine per l’invio delle domande è fissato al 15 marzo 2026. Si può fruire del beneficio fino a febbraio 2026, con la denuncia Uniemens.

La riduzione non è cumulabile con altre agevolazioni contributive (come l’esonero per l’occupazione giovanile) e non si applica in presenza di contratti di solidarietà per i lavoratori con orario ridotto.

Reddito da liquidazione di società estere come reddito di capitale assoggettabile all’imposta sostitutiva

L’Agenzia delle entrate ha pubblicato una risposta a un’istanza di interpello incentrata sul regime fiscale sostitutivo applicabile alle persone fisiche titolari di redditi da pensione di fonte estera per i redditi prodotti all’estero, ai sensi dell’articolo 24-ter del TUIR (Agenzia delle entrate, risposta 21 novembre 2025, n. 292).

L’articolo 24-ter, comma 1, del TUIR stabilisce che le persone fisiche titolari di redditi da pensione (articolo 49, comma 2, lettera a), erogati da soggetti esteri, che trasferiscono la residenza in Italia in Comuni specifici (appartenenti al territorio delle regioni Sicilia, Calabria, Sardegna, Campania, Basilicata, Abruzzo, Molise e Puglia, o comuni sismici designati), aventi comunque una popolazione non superiore a 20.000 abitanti, possono optare per l’assoggettamento dei redditi di qualunque categoria, prodotti all’estero, a un’imposta sostitutiva.

 

L’imposta sostitutiva è calcolata in via forfettaria, con aliquota del 7% per ciascuno dei periodi di imposta di validità dell’opzione.
I redditi prodotti all’estero devono essere individuati secondo i criteri di cui all’articolo 165, comma 2, del TUIR. Tale disposizione implica una lettura “a specchio” dei criteri dell’articolo 23 del TUIR, in base alla quale un reddito si considera prodotto all’estero solo nelle ipotesi esattamente speculari a quelle previste per individuare i redditi prodotti nel territorio dello Stato.

 

In merito ai redditi oggetto del suddetto regime agevolativo, la circolare n. 21/E/2020, ha già avuto modo di chiarire che in base all’articolo 49, comma  2, lett. a), del TUIR, costituiscono redditi di lavoro dipendente le pensioni di ogni genere e gli assegni ad essi equiparati. Dunque, per espressa previsione normativa, i redditi da ”pensione” sono equiparati a quelli di ”lavoro dipendente”. Si tratta di soggetti destinatari di trattamenti pensionistici di ogni genere e di assegni ad essi equiparati erogati esclusivamente da soggetti esteri. Sono esclusi dal regime, invece, i soggetti non residenti che percepiscono redditi erogati da un istituto di
previdenza residente in Italia. Rientrano in tale nozione di redditi da pensione anche tutti quegli emolumenti dovuti dopo la cessazione di un’attività lavorativa, che trovano genericamente la loro causale anche in un rapporto di lavoro diverso da quello di lavoro dipendente.

L’espressione normativa “le pensioni di ogni genere” porta a considerare ricomprese nell’ambito di operatività del citato comma 2 dell’articolo 49 del TUIR anche tutte quelle indennità una tantum erogate in ragione del versamento di contributi e la cui erogazione può prescindere dalla cessazione di un rapporto di lavoro.

Inoltre, con riferimento ai redditi di capitale (come le distribuzioni di utili), in base alla lettura a specchio dell’articolo 23, comma 1, lett. b), del TUIR, si considerano prodotti all’estero i redditi di capitale corrisposti da soggetti non residenti. L’imposta sostitutiva prevista dall’articolo 24-ter del TUIR esaurisce l’obbligazione tributaria dovuta in Italia sui redditi prodotti all’estero.

Al riguardo, l’Agenzia richiama l’articolo 47, comma 7, del TUIR, che stabilisce che le somme o il valore normale dei beni ricevuti dai soci in caso di liquidazione (o recesso, esclusione, riscatto e riduzione del capitale esuberante) costituiscono utile per la parte che eccede il prezzo pagato per l’acquisto o la sottoscrizione delle azioni o quote annullate. I redditi così determinati derivanti dalla liquidazione di una società sono classificati come redditi di capitale.

 

Nel caso di specie, l’Istante, fiscalmente residente in Francia, titolare di redditi di pensione di fonte estera dal 2025, intende trasferire la propria residenza in Italia nel 2026. Tale trasferimento è previsto in un Comune del Mezzogiorno con popolazione non superiore a 20.000 abitanti, dove l’Istante intende anche svolgere attività di lavoro autonomo e/o di impresa. Egli ha in programma la messa in liquidazione volontaria di società estere da lui partecipate/controllate, le quali non detengono beni immobiliari o partecipazioni in società italiane, chiedendo se i redditi derivanti dall’eventuale avanzo di liquidazione distribuito dalle suddette società rientrino nel regime dell’imposta sostitutiva previsto dall’articolo 24-ter, comma 1, del TUIR.

In base alla lettura “a specchio” del citato articolo 23, comma 1, lett. b), del TUIR, l’Agenzia conferma dunque che il reddito risultante dalla liquidazione, classificato come reddito di capitale, è considerato prodotto all’estero e che nel rispetto di tutte le condizioni previste dalla normativa di riferimento, anche su tali redditi l’Istante possa fruire del regime opzionale di cui all’articolo 24-ter del TUIR.

CCNL POSTE: siglato l’accordo su smart working

Prorogato il lavoro agile fino al 2026, le modalità restano quelle del 14 settembre 2023

Lo scorso 17 novembre 2025 le Organizzazioni sindacali Slc-Cgil, Slp-Cisl, Uil-Poste, Failp-Cisal, Confsal-Com.ni, Ugl-Com.ni e Poste Italiane Spa hanno siglato il rinnovo dell’accordo relativo al lavoro agile.

Sono escluse dall’applicazione di tale accordo le società del Gruppo Sda Express Courier, Poste Logistics e Kipoint, le quali applicheranno le condizioni del CCNL di settore del 23 luglio 2024, in vigore dal 1° gennaio 2026 fino al 31 dicembre 2026.

Per Poste Spa e per la maggior parte delle società del Gruppo, viene, pertanto, prorogata la possibilità di ricorrere allo smart working fino al 31 dicembre 2026. Le modalità di svolgimento della prestazione lavorativa in modalità agile sono quelle previste dall’accordo del 14 settembre 2023.

La possibilità di ricorrere al lavoro agile viene estesa ad ulteriori ambiti lavorativi rispetto a quelli già previsti come:

tutela aziendale, Cert e monitoraggio canali digitali;

risk e compliance, fraud management e security intelligence, procedure e monitoraggio frodi Torino.

Le Aziende, infine, si impegnano ad avviare subito le attività di perfezionamento degli accordi individuali di proroga del lavoro agile.

Consolidato fiscale e remissione in bonis: sanatoria dell’omessa comunicazione dell’opzione

Con una nuova risposta ad interpello l’Agenzia delle entrate fornisce chiarimenti sull’applicazione dell’istituto della remissione in bonis nell’ambito del consolidato fiscale (Agenzia delle entrate, risposta 24 novembre 2025, n. 294).

Due società istanti, controllante e controllata, chiedono di poter sanare l’omessa indicazione della controllata tra i soggetti consolidati nel quadro OP del Modello SC, avvalendosi dell’istituto della “remissione in bonis”. Al riguardo, le società sostengono che i comportamenti successivi, come il calcolo degli acconti IRES e l’indicazione di un provento da consolidamento nel bilancio della controllata, dimostrino la loro intenzione originaria di includere la società nel regime, ritenendoli quindi comportamenti concludenti.

 

L’Agenzia conferma che l’omessa comunicazione dell’opzione per il consolidato, in quanto adempimento formale, può essere sanata mediante l’istituto della ”remissione in bonis”, purché sussistano i requisiti sostanziali (articoli 117 e seguenti del TUIR) alla data di scadenza originaria e la violazione non sia stata constatata. Inoltre, la consolidante deve esercitare l’opzione entro il termine di presentazione della prima dichiarazione utile e versare la sanzione pari a 250 euro.

 

La remissione in bonis intende salvaguardare il contribuente in buona fede. La buona fede presuppone che il contribuente abbia tenuto un comportamento coerente con il regime opzionale prescelto (c.d. comportamento concludente).

Nel contesto del consolidato fiscale, il comportamento concludente implica l’adozione di comportamenti coerenti in ordine al calcolo della base imponibile consolidata ed alla liquidazione dell’IRES dovuta.

 

Richiamando la disciplina sugli obblighi di versamento a saldo e in acconto, l’Agenzia ricorda che questi competono esclusivamente alla controllante (Articolo 118, comma 3, del TUIR). In caso di nuovi ingressi in un consolidato già vigente, si applica un criterio ”misto”, parametrizzando l’acconto all’imposta ”storica” del consolidato ”ampliato”, determinata sulla base della somma algebrica dei redditi dichiarati nel periodo precedente dalle società di nuovo ingresso con il reddito complessivo globale del consolidato preesistente.

 

Nel caso di specie, dunque, l’esercizio chiuso al 31 dicembre 2024 rappresenta il primo periodo di imposta per la società controllata. Di conseguenza, la sua inclusione nel consolidato, sin dal periodo d’imposta 2024, non ha alcun effetto sulla misura dell’acconto complessivamente dovuto per il 2024 dalla fiscal unit, poiché il suo reddito del periodo precedente è pari a zero.
Per tali ragioni, l’Agenzia ritiene che il versamento da parte della società controllante di un acconto calcolato in base al solo reddito complessivo globale del consolidato relativo al 2023 possa considerarsi coerente con la volontà di includere la controllata nel perimetro della tassazione di gruppo sin dall’anno 2024.
Inoltre, l’indicazione nel bilancio della controllata, al 31 dicembre 2024, di un provento da consolidamento (derivante dal trasferimento delle perdite fiscali e degli interessi passivi) rappresenta un comportamento coerente con l’intento di estendere il regime di consolidato fiscale alla controllata dal 2024.
Tali condotte possono, dunque, considerarsi comportamento concludente ai fini dell’accesso all’istituto della remissione in bonis.

Prestazione universale: chiarimenti sulla titolarità del rapporto di lavoro

Riconosciuta l’ipotesi di contratto di lavoro stipulato da una persona diversa dal beneficiario (INPS, messaggio 21 novembre 2025, n. 3514).

L’INPS ha fornito chiarimenti in materia di titolarità del rapporto di lavoro instaurato con il lavoratore domestico nell’ambito della quota integrativa della Prestazione universale definita “assegno di assistenza” (articolo 36, comma 2, lettera b) del D.Lgs. n. 29/2024).

In particolare, l’Istituto precisa che la prestazione può essere riconosciuta anche nell’ipotesi di contratto di lavoro stipulato da una persona diversa dal beneficiario (familiare, amministratore di sostegno, curatore, tutore, ecc.) se, a seguito dell’istruttoria svolta dalla struttura territoriale dell’INPS, risulta che l’assunzione come badante o come lavoratore domestico è finalizzata all’assistenza del beneficiario medesimo.

Più nel dettaglio, deve risultare, sia nel contratto di lavoro, sia nelle buste paga quietanzate, che l’indirizzo di svolgimento dell’attività coincide con quello del domicilio del beneficiario della Prestazione universale e le mansioni del lavoratore sono di assistenza al titolare della prestazione.